Autocertificazione della malattia fino a tre giorni: dove servirebbe un dibattito, che non c'è
Studio Menichino
Nei giorni scorsi, in tanti hanno commentato ed aspramente criticato il disegno di legge che prevede l'autocertificazione della malattia del lavoratore per periodi inferiori ai tre giorni.
Alla base della proposta contenuta nel disegno di legge vi sarebbe il fatto che il medico oggi rischia pesanti sanzioni per falsa certificazione, quando il più delle volte le patologie non sono accertabili clinicamente (mal di testa, dolori addominali, stati di malessere generale).
Le critiche mosse da più parti al disegno di legge non sono affatto peregrine. Anzitutto, nei casi in cui la patologia non è clinicamente accertabile, il medico non compie alcuna falsa attestazione, se, come accade spesso, attesta la patologia riferita dal paziente, dando atto che la visita è stata condotta e dall'esame clinico non vi sono elementi di riscontro oggettivo. Inoltre, una formulazione della norma così generica agevolerebbe senz'altro fenomeni di assenteismo, con significative ripercussioni sulla produttività generale. Oggi il controllo del medico, anche per patologie di minor rilevanza, ha certamente una funzione deterrente per quel dipendente che voglia fraudolentemente assentarsi dal lavoro; il medico è infatti responsabilizzato nella sua attività d’indagine ed è tenuto a certificare patologie che siano clinicamente oggettive, ancorché di breve durata, oltre che a valutare il contesto soprattutto in casi non oggettivamente riscontrabili. Inoltre, per quanto gli possa essere impedita una valutazione oggettiva della malattia riferita dal paziente, la sua indagine rileva certamente nell’impedire, come accade talvolta nella prassi, una reiterazione, a cadenze sospette, di stati patologici arbitrari riferiti dal lavoratore. Invece, l’autocertificazione del dipendente, senza alcun “argine” da parte di un professionista esperto, pone più di un dubbio: se già il medico dispone di pochi strumenti, il datore di lavoro ne avrà ancora meno per contestare la simulazione.
Insomma, così come formulato, il disegno di legge non è utile per gli scopi che si prefigge, ha una chiara finalità “da casta” e si traduce solo in un incentivo all’assenteismo, perché facilita grandemente un fenomeno già ricorrente nel nostro Paese.
Diverso sarebbe stato se il disegno di legge fosse stato più “attento” nell’impedire potenziali abusi e se l’obiettivo della legge fosse stato quello di liberare il Servizio Sanitario Nazionale da incombenze che, spesso, si risolvono in un inutile appesantimento burocratico (incombenze che l’attuale disegno di legge non elimina).
E’ innegabile che il personale medico della Pubblica Amministrazione si trovi giornalmente a dover compiere operazioni routinarie, che di medico hanno ben poco quando vi è l’oggettiva impossibilità di attestare clinicamente la patologia riferita dal lavoratore.
Allora, interessante sarebbe un dibattito che toccasse il tema di alleggerire il carico del personale del Servizio Sanitario per dedicarlo alle cure effettive dei pazienti bisognosi, introducendo tuttavia forme per contrastare l’eventuale utilizzo illecito dello strumento di autocertificazione concesso al lavoratore: liberare, quindi, il medico da ogni incombenza operativa, ma limitare, ad esempio, il ricorso all’autocertificazione a determinate patologie non diagnosticabili clinicamente ed introducendo altresì forme di esclusione dell’autocertificazione reiterata della malattia in archi temporali ben circoscritti.
Solo in un contesto del genere, si potrebbe aprire un dibattito serio per valutare in che modo contemperare interessi tra loro contrapposti, ma ugualmente validi.
Milano, 11 luglio 2017