Gli effetti del Coronavirus sui rapporti di lavoro.

Di Luca Menichino 


Oltre ad aver già interessato direttamente l’economia cinese bloccando l’attività in diversi comparti, il coronavirus ha già avuto effetti sui contratti di lavoro in corso. Si tratta sia dei contratti siglati con personale cinese o europeo proveniente dalla Cina che si è trovato nell’impossibilità di rendere la prestazione per via delle restrizioni senza termine imposte dalle autorità nazionali sui voli dalla Cina, sia dei contratti che presupponevano l’avvio di un rapporto di lavoro dedicato ai rapporti con la Cina, che hanno subito un blocco per via dell’epidemia in corso.
In via generale, l’impossibilità della prestazione può condurre alla risoluzione del contratto. Tuttavia, in materia di lavoro, le regole generali sui contratti subiscono delle limitazioni, nel senso cioè che è possibile sciogliersi dal vincolo contrattuale solo in presenza di motivi qualificati previsti dalla legge, ossia in presenza di un motivo soggettivo o di un motivo oggettivo di licenziamento.
In via generale la causa che impedisca lo svolgimento della prestazione può costituire un motivo oggettivo di licenziamento, nella misura in cui l’assenza non sia più tollerabile, tenendo conto, tra l’altro, delle dimensioni dell’impresa, della ragionevole durata dell’impossibilità sopravvenuta e della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni (cfr. Cass. 19315/2016).
Ma in un caso come quello prospettato, in verità, non è dato sapere quanto durerà il blocco dei rapporti con la Cina così come il blocco dei voli. Oggi non sappiamo se l’impossibilità di rendere la prestazione sarà per un breve o un lungo periodo di tempo e soprattutto, a seconda del datore di lavoro, occorrerà verificare se il lavoratore possa essere sostituito e sino a quando permanga l’interesse del datore di lavoro alla prestazione. Insomma, non è così scontato che l’impossibilità della prestazione possa giustificare un licenziamento.
Tale ipotesi diventa ancora più complessa nell’ipotesi di un lavoratore assunto per dedicarsi ai rapporti con la Cina. In questo caso, prima di procedere al licenziamento, il datore di lavoro dovrà verificare se il lavoratore possa essere utilmente adibito ad altri compiti ed effettuare una verifica ex ante sulla tollerabilità di quella situazione.
Altro ed ulteriore punto da non sottovalutare riguarda l’ipotesi del recesso orale che si può verificare quando il datore di lavoro, ignaro, possa riferire al dipendente che, date le condizioni, non è possibile dare seguito al rapporto. In questo caso, le sanzioni sarebbero piuttosto severe con un rischio di reintegrazione nel posto di lavoro.
In definitiva, il recesso è possibile, ma in primis dovrà essere corrisposta l’indennità sostitutiva del preavviso e poi dovrà essere valutato con cautela tenendo conto del caso concreto. Altrimenti, in assenza di prestazione per causa non imputabile (l’ipotesi è riferita a chi non può lavorare perché bloccato in Cina), rimane pur sempre la possibilità di sospendere il pagamento della retribuzione sino a quando permane il blocco, rinviando la valutazione sulla occupabilità del lavoratore nel momento in cui quest’ultimo sia in condizione di rendere la prestazione.

 
Milano, 19 febbraio 2020