I ritardi sulla cassa integrazione all’epoca del Coronavirus: un tentativo per fare chiarezza.

Di Luca Menichino 


L’altra sera mi sono imbattuto in un dibattito televisivo in cui venivano chiesti lumi sul perché dei ritardi sui pagamenti dell’indennità di cassa integrazione ai lavoratori. Un giornalista contestava in modo generico i mancati pagamenti della cassa integrazione da oltre tre mesi (!), e l’esponente del governo, per la verità, non forniva risposte chiare, salvo solo precisare che i sussidi a 5 milioni di autonomi erano stati pagati e che la cassa integrazione in deroga scontava dei ritardi delle varie Regioni nella trasmissione delle domande.
In verità nessuno degli interlocutori era conoscenza della situazione né ha fornito dati. I giornalisti vicini alla destra davano la colpa al Governo e il Governo attribuiva la responsabilità alle Regioni.
Insomma, come spesso accade, non c’è un esame serio della situazione e non si comprendono le ragioni di alcune inefficienze o ritardi anche per individuare le possibili soluzioni.
Poiché è evidente che sui temi sanitari e sulla questione degli aiuti ai lavoratori e alle imprese non ci sono divergenze politiche, ho cercato di capire che cosa sta accadendo sulla base dei dati, anche lanciando uno sguardo all’esperienza di altri paesi. I dati, per la verità non sono tutti facilmente reperibili: se i dati della CIGO sono disponibili sul portale dell’INPS, i dati relativi al numero dei lavoratori che hanno fatto richiesta della CIG in deroga devono essere ricavati in ordine sparso dai media e dai portali delle singole Regioni; non sono completi e per nulla omogenei.
Inoltre, mi sono chiesto perché mai non vi siano temi di ordine pubblico, se è vero che i lavoratori non hanno ricevuto i soldi.
In primo luogo, risulta che su 8.3 milioni di lavoratori che hanno chiesto gli ammortizzatori ordinari 6,7 milioni hanno ricevuto il pagamento di quanto spettante. Sul fronte della cassa in deroga è vero che le Regioni sono in ritardo nell’invio dei dati e ancora oggi molte delle domande ricevute dalle Regioni non sono state istruite (l’INPS ha ricevuto la richiesta di pagamento solo per 241.000 domande, quando si stima che le domande complessive siano superiori a 500.000). Al 4 Maggio risulta che solo 67.000 lavoratori beneficiari della Cassa in deroga abbiano ricevuto il pagamento dell’indennità a fronte di una platea molto più ampia pari a circa 1,5 milioni di persone.
Quanto agli autonomi con partita iva, su 4.66 milioni di soggetti richiedenti aventi titolo, 3,66 milioni hanno ricevuto il pagamento dall’INPS.
I professionisti hanno fatto richiesta dei sussidi alle rispettive casse di previdenza per un totale di 454.000. Solo 270.000 hanno ricevuto l’indennizzo, non dall’INPS, non dalle Regioni, ma dalle rispettive casse di previdenza.
Fermo restando che vi sono senz’altro dei casi di indiscutibile stato di bisogno, anzitutto, sulla base delle raccomandazioni del dpcm, le imprese hanno imposto lo smaltimento delle ferie, che ha permesso a molti di ricevere i compensi sino a metà-fine marzo. Inoltre, a fronte di ritardi (che tutti gli addetti ai lavori si attendevano), si è sviluppata una forte solidarietà da parte delle imprese più virtuose che, ben consapevoli dei tempi, nei casi previsti non solo hanno anticipato l’indennità di cassa, ma hanno anche messo in campo aiuti indiretti, anticipando la tredicesima, la quattordicesima, quote di TFR, ovvero erogando prestiti in attesa dei pagamenti da parte dell’INPS. Quelle ancora più virtuose hanno anche ridotto gli stipendi dei manager per integrare la retribuzione degli altri dipendenti ancora in difficoltà, come nel caso Luxottica.
A ciò si sono aggiunti anche gli aiuti diretti delle famiglie, beninteso non in tutti i casi, che sono connessi alla ben nota propensione al risparmio degli italiani. Questo in parte spiega perché non ci sono stati disordini che sarebbero il primo campanello di allarme di una diffusa situazione di indigenza.
Ma quali sono i problemi e perché, ancora una volta, ci sono ritardi?
A mio parere, la responsabilità non è di questa o quella parte politica, o meglio, la questione affonda le radici in tempi più lontani. Ragionevolmente e pur non avendo alcuna indicazione di fonte governativa, a monte della scelta di coinvolgere le Regioni nell’autorizzazione della Cassa integrazione in deroga, vi era l’idea di ripartire il carico delle domande tra più soggetti in modo da rendere più spedito il processo. In effetti 500.000 domande di CIG ordinaria e assegno ordinario sono state inoltrate all’INPS mentre oltre 500.000 domande di cassa in deroga sono state ripartite in capo alle Regioni. Le Regioni del resto, avendo già gestito in passato la cassa integrazione in deroga, istituita dopo la crisi del 2008, disponevano già delle strutture organizzative e le piattaforme informatiche per gestire le domande. Anche se ovviamente ai tempi del Coronavirus, la situazione era e rimane del tutto inedita, perché non si era mai visto un numero così elevato e concentrato di domande.
Rispetto al passato, tuttavia, è stato previsto che il pagamento della cassa in deroga non fosse anticipato dall’imprenditore, ma fosse a carico dell’INPS, sul presupposto che nella fase drammatica che stiamo attraversando chi accede alla cassa integrazione in deroga normalmente sono gli imprenditori con minor capacità finanziaria e un ridotto numero di dipendenti, circostanza questa confermata anche dai dati: risulta che in linea generale ciascun imprenditore ha chiesto la cassa integrazione in deroga alle Regioni mediamente per 3/4 dipendenti.
Per quanto le procedure siano state snellite, resta il fatto che è pur sempre necessario un controllo e una valutazione delle domande pervenute, al pari di quanto accade negli altri paesi. Si tratta di un fattore ineludibile, che tuttavia, comporta una maggiore complessità.
L’INPS che da sempre gestisce le procedure di cassa integrazione ordinaria dispone di una dotazione organizzativa più oliata e poi non dimentichiamoci che una buona parte dei soldi sono stati anticipati dagli imprenditori a favore di una platea di ben 5,3 milioni di lavoratori.
L’amara verità è che le Regioni – peraltro con organico che prestava attività da remoto e con maggiore difficoltà di coordinamento - non hanno retto il carico delle domande, perché i sistemi non erano totalmente digitalizzati e le risorse adibite erano del tutto insufficienti a reggere il peso delle circostanze. Alcune Regioni, quali ad es. la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, Liguria e la Toscana – probabilmente con un tessuto produttivo più forte e maggiore esperienza di gestione della cassa in deroga - pur in ritardo, hanno istruito tutte le domande e hanno inviato i dati all’INPS per il pagamento intorno alla metà di aprile. Altre Regioni, quale il Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sicilia, Puglia, al 4 maggio hanno istruito mediamente 1/4-1/6 delle domande, stando ai dati dell’INPS.
Esaminando l’esperienza di altri paesi europei si comprendono meglio le ragioni di ciò che viene semplificato in chiave di superficiale bagarre politica.
Da quel che si ricava dai media, in Germania 140.000 richieste per i free lance sono state processate in qualche giorno e, dopo l’autorizzazione, il denaro è arrivato sul conto corrente solo dopo qualche giorno. Ma anche in Italia, una buona parte degli autonomi (quasi 3,6 milioni) ha ricevuto il pagamento il 16 aprile, a fronte di una domanda inoltrata ai primi di aprile, un tempo del tutto accettabile e davvero inusuale nel nostro sistema. Le ragioni, con ogni probabilità sono legate al fatto che i pagamenti non avevano condizioni e non richiedevano una valutazione, per cui il processo di erogazione è stato molto più rapido.

Nel Regno Unito, la cassa integrazione di recentissima istituzione (Furlough scheme) è stata lanciata il 20 aprile (con un mese di ritardo rispetto all’avvio della crisi), ma l’ente responsabile della gestione delle domande era dotato una piattaforma tecnologica di self assessment che consentiva di processare ben 450.000 domande in un’ora con un team di 3500 persone dedicate. Una volta processate le domande, il pagamento è avvenuto nell’arco di una settimana a favore di 6,8 milioni di soggetti.

Un discorso diverso riguarda invece i 3,8 milioni di lavoratori autonomi che riceveranno i sussidi a distanza di ben tre mesi, dopo l’avvio della crisi ossia a giugno, perché il Ministero del Tesoro britannico ha riferito che il processo di accreditamento e di selezione delle domande era più complesso.

In conclusione, le inefficienze sui pagamenti, a mio avviso, in larga parte dipendono dalla criticità della situazione e comunque non dipendono dall’incapacità di questo o di quell’amministratore, quanto piuttosto dall’assenza di investimenti nella digitalizzazione della pubblica amministrazione, al fine di generare sistemi che possano processare e valutare una rilevante mole di dati. Si tratta di situazioni che affondano le radici nel passato e che in una situazione di emergenza di certo non possono essere corrette in corsa. In questa situazione ci si può organizzare, si può migliorare, ma non si possono colmare gap legati all’innovazione tecnologica.
E non si può sottacere che negli ultimi dodici anni, l’Italia, pur avendo registrato in ben 22 anni bilanci in attivo, ha avuto una capacità di investimento nel settore pubblico di gran lunga inferiore ai nostri partners europei, anche per via del macigno che ci portiamo addosso da anni, ossia il debito pubblico.

La crisi e il supporto economico che proviene dall’Europa oggi può essere l’occasione per il rilancio degli investimenti attraverso un’indagine seria delle nostre debolezze, ma senza scivolare in facili accuse e piagnistei; e senza invocare le virtù di altri paesi, che, in parte scontano problemi analoghi e, pur con tutte le qualità organizzative del caso, per varie ragioni, si trovano in situazioni di vantaggio non comparabili, vantaggi che non possono essere colmati d’un tratto, come per magia. Bisogna esserne consapevoli e partire da qui.

I dati al 4 maggio 2020 tratti dal portale INPS e da altre fonti
 

N. lavoratori CIGO-Assegno ordinario

8,3 milioni
N. lavoratori CIGD

1,5 milioni (stima)

N. lavoratori pagati (al 4.5)

6,7 milioni

N. lavoratori pagati (al 4.5)

67.000

N. lavoratori scoperti 

1,8 milioni

N. lavoratori scoperti

1,423 milioni (stima)

N. lavoratori autonomi 

4,77 milioni 

N. lavoratori professionisti

454.000

N. Lavoratori autonomi pagati (al 4.5) 

3.66 milioni 

N. lavoratori professionisti pagati (al 19.4)

270.000

N. Lavoratori autonomi scoperti

1,1 milione
 
N. lavoratori professionisti scoperti

184.000



Milano, 7 maggio 2020