Il caso Embraco
di Filippo Menichino e Luca Menichino


Due considerazioni di dettaglio sul caso Embraco.

1) La Cassa Integrazione.
Ha fatto scandalo in Italia il pervicace rifiuto della società di richiedere la Cassa Integrazione. Il Ministro non ne comprende le ragioni, che invece ci sono.
Un tempo la Cassa veniva data a tutti ed era diventata, contro le proprie finalità, un sistema di politiche passive del lavoro con un costo spropositato per il paese: 20 miliardi all’anno, una somma che non ha creato un solo posto di lavoro, ma che però serviva alle aziende e ai sindacati per gestire il tempo prima dell’inevitabile licenziamento.
Adesso il Jobs Act stabilisce che la Cassa può essere concessa soltanto per ristrutturazione e crisi aziendale, ma alla condizione tassativa che l’azienda, al termine, riapra e continui l’attività; non è più consentita una Cassa a perdere. È pur vero che le Regioni finora avevano ottenuto dei finanziamenti da parte dello Stato per concedere una Cassa in deroga alla legge statale, ma da quest’anno non è più possibile. Probabilmente il Ministro avrà promesso un rifinanziamento ad hoc per il caso specifico, ma ci vorrà una legge speciale con tutti i dubbi di costituzionalità che essa comporta e sempre che una legge siffatta non costituisca un “aiuto di Stato”.  Nel frattempo, l’azienda avrebbe dovuto anticipare il costo della Cassa Integrazione e correre il rischio di un contenzioso con i lavoratori, per il pagamento integrale delle retribuzioni stante l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione alla Cassa Integrazione. Insomma, l’azienda indubbiamente ha molto più di qualche buona ragione, anche se già oggi sta modificando il proprio atteggiamento di fronte al vigore inusitato del nostro Ministro a livello europeo. Ormai il caso ha superato i confini nazionali e, probabilmente, la Società valuterà che non vale economicamente la pena di intestardirsi su una questione che, alla fin fine, vale molto meno dei propri interessi a livello internazionale.

2) Sulla presunta “concorrenza sleale”.
Quando si decise di far parte, tutti, del mercato comune, si sapeva che alcuni paesi erano più deboli economicamente, avevano retribuzioni più basse ed aliquote d’imposta minori. Si voleva che le nazioni più deboli crescessero in modo da creare un forte mercato di libero scambio con vantaggi per tutti. Questo almeno era il sogno, la visione politica. Si decise anche di concedere degli aiuti (fondo di coesione) a 12 paesi europei con un Pil inferiore del 90% alla media europea (tra questi il Portogallo, la Grecia ed i paesi dell’est; alla Slovacchia è stato stanziato per il periodo 2014 - 2020 l’importo di 4 Miliardi di euro). Ma anche tutti i paesi dell’Unione sono stati destinatari di fondi sostanziosi, variamente denominati in relazione agli scopi. In particolare, a favore dell’Italia (unitamente alla Polonia) sono stati stanziati i fondi più generosi, anche se il Paese non riesce ad utilizzarli, se non in misura esigua, probabilmente per incapacità culturale ed organizzativa (stanziati 70 miliardi, utilizzati, a metà del programma, uno!). I fondi europei, quindi, probabilmente non rilevano al fine della “slealtà” della concorrenza. Tuttavia ciò che l’Europa tassativamente vieta sono gli aiuti di Stato, cioè quelle agevolazioni, sotto qualsiasi forma, concesse dallo Stato (Regioni, Province, Comuni ecc.) a soggetti che svolgono attività economica in grado di incidere sugli scambi e di falsare o minacciare la concorrenza. E deve trattarsi di un vantaggio selettivo destinato alla singola azienda, ovvero singoli settori o singole aree di uno Stato membro; un vantaggio, insomma che non deriva in generale dall’economia o dall’organizzazione interna dello Stato membro. Il Commissario Europeo a ciò delegato indagherà se la Slovacchia abbia favorito Embraco concedendo vantaggi che questa, altrimenti, non avrebbe conseguito da un soggetto privato nell’ambito del libero mercato.
Il Ministro dell’economia slovacco ha negato di aver concesso aiuti. Si tratterebbe così di una concorrenza fisiologica derivante dall’apertura del mercato e dai diversi livelli salariali esistenti nell’area europea; un’apertura che, tuttavia, ha favorito le aziende degli Stati più forti che sono penetrati commercialmente in quei mercati, anche a discapito dei prodotti locali. Non bisogna dimenticare che il mercato unico ha favorito indubbiamente il più debole, ma anche il più forte. Tuttavia, è necessario accordarsi affinché alcuni stati non facciano dumping sociale (o fiscale o altro) a danno degli altri, poiché in questo caso non si tratterebbe di fisiologica concorrenza o di fisiologiche differenze, e neppure di aiuti di Stato, ma di atti mirati a danneggiare i partner europei in un particolare settore; anche se non è detto che sia il caso della Slovacchia. Naturalmente se Embraco ha ricevuto fondi per investimenti al fine di assicurare la sua presenza sul territorio Italiano, essa non avrà ragione di trattenerli nel caso in cui le condizioni legate all’investimento non si siano verificate. Ma certamente non sarà obbligata a non delocalizzare come alcuni, per demagogia elettorale, vanno dicendo.

 
Milano, 27 febbraio 2018