Il lavoro agile e il lock down.
Di Luca Menichino
Nel corso degli ultimi mesi si è molto discusso di smart working, che si è imposto come una necessità durante la pandemia.
Si è detto che si tratta di una modalità di lavoro efficiente e flessibile nell'interesse del lavoratore, ma dall'altro lato molti imprenditori si sono lamentati che alcuni addetti non erano efficienti o non lavoravano a sufficienza; che nella PA molti soggetti non hanno lavorato, anche per l'assenza degli strumenti tecnologici (Ichino) e, su un altro piano, molti lavoratori hanno dichiarato di essere stati troppo assorbiti dal lavoro, ben oltre l'orario normale.
Sul piano sociologico, i sostenitori della tecnologia hanno sostenuto che il lavoro agile è uno strumento imprescindibile del futuro, Twitter ha liberalizzato lo smart working rimettendolo alla libera scelta di ciascun lavoratore, altri – come il sindaco Sala e Carlo Ratti – hanno posto l'accento sulla necessità di "ritornare al lavoro", sul presupposto che il lavoro in ufficio consente di assicurare un miglior coordinamento e sviluppare meglio i rapporti sociali, favorendo lo sviluppo dei cd. contatti deboli (i.e quei soggetti che non si conoscono bene e con cui si entra in contatto fortuitamente, ma che possono essere fonte di sviluppo di altri rapporti).
Sono affermazioni che portano tutte con sé una parte di verità, perché ci sono i fannulloni, ma anche coloro che subiscono l'abuso dei datori di lavoro. Il lavoro agile è uno straordinario strumento di flessibilità per conciliare il lavoro con la vita privata ma, al contempo, il lock down ha dimostrato che può mettere a repentaglio le relazioni sociali e lo sviluppo personale, favorendo un maggiore isolamento. Non solo: stiamo anche assistendo alla desertificazione dei centri storici e dei quartieri direzionali con danni indiretti per l'attività economica, causata dall'assenza dei lavoratori. La prima considerazione da fare, però, è che come tutte le innovazioni sociali, lo smart working, è uno strumento che va utilizzato con cura e con moderazione.
L'estremizzazione è dannosa, sia per l'organizzazione, per via dei problemi di efficienza e coordinamento che può generare, sia per la persona e per l'economia, anche perché il lavoro, come lo abbiamo sempre conosciuto, è uno straordinario strumento di socializzazione. Così il lavoro da casa cinque giorni alla settimana, alla lunga non paga, ed è per questa ragione che nel nostro ordinamento il lavoro agile è stato concepito come una modalità di lavoro che coesiste con il lavoro d'ufficio e che non può essere soppiantato solo per esigenze di riduzione dei costi sugli spazi. La scelta di lavorare solo da casa, così come indicato da Twitter, è una modalità possibile, ma non può essere l'unica e forse non può essere totalmente liberalizzata, pena la marginalizzazione sul lavoro, il rischio di una minore efficienza e di isolamento personale, oltre ai danni economici collaterali.
Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato lo smart working è una modalità di lavoro che prescinde da rigidi vincoli di orario ed è correlato ad obiettivi, fasi o cicli di lavoro (Art. 18 L. 81/2017). In questo contesto, il concetto di straordinario, pausa o di permesso infra-giornaliero si rivela del tutto incompatibile, se è vero che la prestazione è rimessa alla scelta del lavoratore, nei limiti della durata massima di otto ore.
Ma come fare per evitare abusi del datore di lavoro che pretende prestazioni oltre l'orario massimo se non c'è non c'è un orario rigido? E come può il datore di lavoro controllare se l'attività è stata prestata nell'orario se l'orario è flessibile ed è deciso dal lavoratore?
La verità è che, anche nell'ambito del lavoro subordinato, occorre cambiare il punto di vista.
Il lavoro a cicli, fasi o a risultato non è di per sé incontrollabile, più semplicemente lo strumento di misurazione non è più il tempo quanto il risultato o il micro risultato, ossia ciò che è stato fatto durante la giornata o in più giornate. Il manager è in grado di controllare l'avanzamento lavori. L'incomprensibile "cambio di paradigma" di cui molto parlano riguarda non solo il lavoratore ma anche il Manager: il Manager deve dare obiettivi e verificarli e il lavoratore deve essere in grado di rendere la prestazione nei tempi prestabiliti, tempi che dovranno essere ragionevoli, altrimenti il team non porterà il risultato richiesto. Il Manager dovrà anche dare precise direttive al lavoratore, affinché indichi se ci sono ragioni ostative al raggiungimento del risultato nei tempi prescritti. E' la logica della responsabilità, non più a senso unico ma in senso biunivoco. In altri termini, si passa da una logica di tempo e di disponibilità ad una legata al risultato. E' bene che anche i Manager lo capiscano e organizzino il lavoro di conseguenza. Già oggi la tendenza va in questa direzione nel settore privato. Anche nel settore pubblico occorre questo salto culturale.
Se la prestazione del lavoratore è incompleta o tardiva, senza giustificazione, il datore potrà elevare una contestazione, anche se è molto più probabile che, verificata l'inefficienza della prestazione, si avvalga della facoltà di revocare ad nutum il lavoro agile richiamando in ufficio l'addetto (art. 19 L. 81/2017).
Sul fronte del lavoratore, per prevenire abusi, la legge già prevede che il contratto indichi il periodo di disconnessione e le modalità per attuarlo. Il che significa che già oggi dopo un certo orario il lavoratore non sarà più reperibile e non sarà tenuto a rispondere alle sollecitazioni del datore di lavoro sino al giorno successivo. Durante il lock down e per tutto il 2020, il contratto di lavoro agile non è più obbligatorio, ma le disposizioni di legge continuano ad applicarsi, per cui il lavoratore avrà sempre diritto alla disconnessione, dopo un certo orario (art. 90 Decreto Rilancio). Ciò del resto è stato ribadito recentemente anche dal Garante della Privacy, che ha descritto la disconnessione come una conquista cui non è possibile rinunciare.
Il diritto alla disconnessione significa che cessa la reperibilità e l'obbligo di risposta, ma non esclude – in ragione della gestione personale del tempo - che il lavoratore possa lavorare oltre questo termine, nel rispetto dei limiti legali del riposo (11 ore). Quanto, infine, al tema dell'abuso della prestazione a distanza valgono le considerazioni mutuate dalla giurisprudenza che ha affrontato il tema dell'auto organizzazione delle ferie dei dirigenti: normalmente le ferie non godute non devono essere liquidate per il principio secondo cui il dirigente è libero di gestirle; tuttavia, quando l'organizzazione del lavoro diventa così penetrante da limitare gli spazi di autonomia del lavoratore ed è tale da imporre ritmi di lavoro pressanti, la Suprema Corte ha affermato che le ferie devono essere liquidate, perché viene meno il principio di autodeterminazione. Per le stesse ragioni, non escludo, anche se la questione non è stata affrontata, che il Giudice possa riconoscere lo straordinario al lavoratore agile, posto che il presupposto – ossia l'autonomia della prestazione alla base del mancato riconoscimento degli straordinari – viene meno. L'onere di provare il super lavoro non è impossibile, perché il lavoro smart è documentato. Ma non basterà affermare di aver ricevuto una mail oltre le 18.00 o aver fatto una video call alle 19.00, per invocare maggiorazioni retributive e non è logico richiedere che gli straordinari scattino oltre una certa ora, in presenza di un orario flessibile.
Milano, 17 luglio 2020