Il lavoro nella filiera degli appalti e le novità dei disegni di legge sul salario minimo
di Luca Menichino 


Nel settembre 2018 aveva destato grande scalpore l’articolo del New York Times sullo sfruttamento dei lavoratori dipendenti di società subappaltatrici di aziende della moda che operavano a domicilio o nel sottoscala nel sud Italia, con compensi di un euro all’ora. La notizia è stata fermamente contestata a tutti i livelli ma resta il fatto che il decentramento produttivo è una realtà che non riguarda soltanto il mondo della moda, ma tutti i settori legati al prodotto ove il decentramento a basso costo è diventato oramai una prassi da decenni. Si tratta di una questione in relazione alla quale si è sviluppata una forte sensibilità a livello globale, che ha indotto i grandi committenti ad assumere iniziative nella direzione della protezione dei lavoratori. È notizia recentissima, per esempio, che Google ha deciso di riconoscere $ 15 ai propri lavoratori, assicurando uguale trattamento ai dipendenti dei fornitori.

In Italia l’esternalizzazione si giustifica non solo a causa di ovvie ragioni di profitto, ma anche dalla rigidità del vecchio sistema di protezione dei lavoratori, che sino a poco tempo fa era ingessato dall’art. 18 St. Lav. e che tuttora – a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale – risente di alcune incertezze legate alla maggiore discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo offerta ai giudici. Ad ogni modo, la protezione contro lo sfruttamento dei lavoratori di tutta la filiera produttiva nel nostro ordinamento trova già una risposta con l’art. 29 D.lgs. 276/2003 che prevede una responsabilità del committente qualora i trattamenti retributivi dei lavoratori dipendenti di aziende in appalto e subappalto non siano in linea con i minimi previsti dal CCNL applicabile al settore merceologico di riferimento. È ben noto che il lavoratore ha un’azione diretta nei confronti del committente finale, qualora sia pagato meno dei minimi previsti dal CCNL del settore di riferimento. Dal 2017, la responsabilità del committente è stata estesa dalla Corte Costituzionale non soltanto ai contratti di appalto, ma anche a tutti i contratti di subfornitura e cioè ad ogni contratto che implichi un decentramento produttivo o di servizi (Corte Cost. n. 254/2017). La tutela, però, riguarda solo i lavoratori subordinati e non i lavori autonomi caratterizzati da una significativa debolezza contrattuale.

In certi comparti produttivi, ove vi è una forte sindacalizzazione e un certa massa critica di lavoratori, la tutela è reale ed effettiva a favore dei lavoratori dipendenti della filiera: il potere del sindacato e la sua forza aggregante consente di mettere in atto una serie di iniziative giudiziarie volte alla tutela dei diritti. Ma in Italia, la gran parte delle aziende operanti nel settore manifatturiero oggi sono frammentate, contano pochi addetti, non hanno alcuna sindacalizzazione e, talvolta, operano avvalendosi di contratti di lavoro autonomo anche per prestazioni a domicilio o esternalizzate. Proprio la strutturale debolezza organica delle aziende del settore manifatturiero in uno con le barriere legali per il riconoscimento dei diritti diventa un ostacolo che favorisce fenomeni di dumping sociale, anche in Italia. Soprattutto laddove il tessuto economico e produttivo è più debole. Inoltre, non si può ignorare che in Italia esistono più di 800 contratti collettivi diversificati per settore merceologico, molti dei quali prevedono dei minimi contrattuali ben al di sotto dei CCNL più applicati (solo a titolo di esempio si veda commercio industria, credito ecc.), con una significativa disparità di trattamento.

È questo il contesto in cui si inserisce oggi il dibattito sul salario minimo previsto per legge. 22 Stati Europei su 28 hanno già applicato il salario minimo. Negli Stati del Nord Europa il salario minimo è di circa 1.500 euro con una retribuzione di circa 10 euro all’ora; mentre quello degli Stati del Sud si attesta tra i 700 e i 900 euro. Oggi le proposte legislative per l’introduzione del salario minimo in Italia prevedono un reddito orario di euro 9, e in talune proposte questo sarebbe a favore non solo dei dipendenti ma anche dei lavoratori autonomi. Si tratterebbe di una grande conquista di civiltà a tutela del lavoro debole in tutte le sue accezioni, sia esso autonomo, sia subordinato. Resta da verificare se il debole sistema produttivo italiano, quello più frammentato o quello più debole, sia in grado di assicurare economicamente questo livello di tutela, così come occorre capire in che misura i grandi committenti siano inclini ad un incremento dei costi di produzione all’interno della propria filiera. Basti pensare che, con l’introduzione del salario minimo, il costo del personale domestico potrebbe crescere in modo esponenziale. Oggi il minimo del CCNL dei domestici è pari a poco più di 5 euro lordi, mentre il salario minimo sarebbe, come visto, pari ad 9 euro.


 
Milano, 8 aprile 2019