L'Agenzia delle Entrate contro i "cervelli" rientrati in Italia
di Luca Menichino
E' recente la notizia che l'Agenzia delle Entrate ha inviato diverse cartelle esattoriali ad alcuni docenti e ricercatori universitari che lavoravano all'estero ed erano rientrati in Italia, beneficiando di significative agevolazioni fiscali previste dalla legge.
Con il DL 78/2010, il legislatore aveva manifestato una certa sensibilità nei confronti dei "cervelli in fuga" dall'Italia, cercando di porvi rimedio. Si prevedeva che coloro che avessero svolto e documentato attività di ricerca o docenza all’estero per almeno due anni continuativi potessero beneficiare di uno sconto fiscale del 90%, a condizione che “vengano a svolgere la loro attività in Italia acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato".
La finalità della legge è evidente: chi rientra a lavorare in Italia dall'estero può godere delle agevolazioni. L’art 2 del Testo Unico imposte sui redditi considera residenti fiscali in Italia le persone fisiche che per almeno 183 giorni all’anno sono iscritti nell’anagrafe della popolazione residente o abbiano nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza. Il criterio di collegamento è sostanziale: conta dove si svolge in concreto l'attività lavorativa. Ma per risultare "formalmente" residenti all’estero è necessario essere iscritti all’AIRE (anagrafe Italiana residenti all’estero) e cancellati dall’anagrafe italiana. Tuttavia, di queste formalità alcuni dei nostri “cervelli” nel trasferirsi all’estero, si sono dimenticati, come capita ai più. Secondo l’Agenzia delle Entrate costoro non sarebbero mai ritornati in Italia, perché, almeno dal punto di vista formale, non ne sarebbero mai usciti. Eppure alcuni di questo avevano “documentato” la permanenza all'estero, avevano la certificazione delle Università e dei centri di ricerca che dimostrava inequivocabilmente il loro lavoro e residenza stabile all’estero.
Ora, si stima che nell’ultimo decennio siano partiti circa 30.000 ricercatori con un danno per le casse dello Stato di circa 5 miliardi. Pochi tuttavia rientrano, nonostante gli incentivi. Secondo una ricerca Eurispes 2017 sono rientrati in Italia soltanto 519 ricercatori, solo un quarto degli stessi vi è rimasto per più di quattro anni, mentre la metà di quelli emigrati non intende rientrare in Italia per alcuna ragione. Ovvio, retribuzioni molto più elevate all’estero, opportunità di carriera di gran lunga superiori ma soprattutto prestigio per il lavoro svolto, libertà e senso di indipendenza.
Ma la nostra Agenzia dell'Entrate, incurante dei disturbi che avrebbe potuto arrecare ai cittadini e dell’allarme all’opinione pubblica, non ha voluto fare alcun confronto con la realtà. Ha preferito fare una facile ricerca elettronica sulle anagrafe e sanzionare immediatamente il malcapitato. Sulla falsariga di quanto fa la nostra Pubblica Amministrazione: pochi controlli ex post, e una indicibile vessazione burocratica ex ante per ovviare alla scarsa dotazione di capacità e di competenze che il controllo richiede, con buona pace della finalità incentivante della legge.
Milano, 13 marzo 2019