L’incertezza che genera incertezza

Di Luca Menichino 


Sul Sole 24 ore del 9 giugno scorso (risoluzioni neutre su iter collettivo) si dà conto di una sentenza in materia di licenziamenti collettivi (15118/2021) che si porrebbe in contrapposizione con un’altra pubblicata solo un anno fa (15401/2020).

Il motivo del contrasto sarebbe da rinvenirsi nel fatto che nella sentenza del 2020, la Corte di Cassazione, richiamando la Corte di Giustizia, ha affermato che anche la risoluzione consensuale successiva a un trasferimento rientra nella nozione di “licenziamento” ai fini del superamento della soglia di 5 licenziamenti con l’obbligo di aprire la procedura di mobilità. Tutto ciò perché, in adesione alle indicazioni della Corte di Giustizia, rientra in questa nozione anche l’ipotesi in cui un datore di lavoro procede unilateralmente e a svantaggio del lavoratore ad una modifica sostanziale del contratto di lavoro. Il concetto di licenziamento, quindi, sarebbe da intendersi in modo piuttosto elastico, non contemplando solo le ipotesi di recesso del datore di lavoro.

Invece, con la decisione del 2021, la Suprema Corte ha affermato che l’intenzione di procedere ad un licenziamento per motivo oggettivo prevista dalla disciplina dei licenziamenti individuali non ricade nella nozione di licenziamento per l’attivazione dell’obbligo della procedura di mobilità (il cui requisito è l’intenzione di licenziare almeno cinque lavoratori), perché la dichiarazione di voler procedere a un licenziamento sarebbe imposta per intraprendere la procedura di conciliazione davanti alla DTL e, come tale non può ritenersi configurabile come un licenziamento in sé. In un caso la nozione sarebbe elastica, mentre nell’altra ipotesi la manifesta intenzione di voler licenziare non rientrerebbe nella nozione di licenziamento. In questo starebbe il contrasto.

Pur risolvendo due questioni distinte, tuttavia, in entrambe le sentenze si fa presente che, in virtù dei nuovi orientamenti della Corte di giustizia, i vecchi orientamenti – secondo cui le risoluzioni consensuali non ricadevano nella nozione di licenziamento – devono intendersi superati. È comprensibile che la decisione del 2021 abbia generato un po' di confusione, anche perché – in base a quest’ultima decisione - verrebbe da chiedersi che succede nel caso di risoluzione consensuale successiva a un intenzione di licenziamento; un dubbio a cui non è data alcuna risposta. Seguendo il richiamo alla Corte di Giustizia sembrerebbe solo che ricadono nella nozione di licenziamento i trasferimenti seguiti dalla risoluzione consensuali e, al limite – ma ho più di una perplessità - le dimissioni derivanti da una modifica sostanziale e illegittima delle mansioni; non invece le risoluzioni consensuali successive alla promozione del tentativo di conciliazione davanti alla DTL, perché a monte non vi sarebbe alcuna modifica sostanziale delle condizioni di lavoro.

Detto ciò se si leggono in profondità le sentenze, in verità, si intuisce che non si tratta di un cambio di orientamento, perché entrambe le sentenze richiamano, per l’appunto, un precedente della Corte di Giustizia (per la verità la seconda non solo richiama ma copia la prima) valorizzando le indicazioni fornite dalla Corte Europea. Ma resta il fatto che più di una volta le sentenze della Cassazione, al posto di fornire spiegazioni esaurienti per definire chiaramente l’ambito in cui si deve interpretare la legge, utilizzano formule ellittiche e scarsamente comprensibili non solo per il cittadino, ma anche per gli addetti ai lavori. Il paradosso è che l’interprete della legge (la Corte di Cassazione), che ha la funzione di chiarire la portata della legge e uniformare le interpretazioni, genera ancora più incertezza e questa incertezza provoca, a sua volta, una molteplicità di opinioni tra loro discordanti. Il risultato è che proprio a causa della crescente incertezza inevitabilmente si litiga più facilmente, si fanno più cause, che poi si vanno ad ammassare al già enorme arretrato, con un costo enorme per la collettività.

Ora, è evidente che la giustizia soffre di un carico di lavoro enorme – cui sta cercando di porre rimedio con il PNRR –, ma la prima vera battaglia interna alla magistratura è quella di sensibilizzare sé stessa per utilizzare un linguaggio più semplice, chiarire, definire ma soprattutto per distinguere. Perché una sentenza dal contenuto incerto prima di tutto, è un danno per la stessa magistratura che vede crescere a dismisura il contenzioso, un costo per i cittadini e, in ultima analisi, un danno per la collettività; un danno che il più delle volte passa inosservato.


Milano, 07 Novembre 2021