La cassa Covid non può essere utilizzata se la riorganizzazione aziendale non dipende dalla crisi pandemica. Profili critici di una recente ordinanza del Tribunale di Roma
Di Luca Menichino
Dopo la nota sentenza sul divieto di licenziamento applicato ai dirigenti, il Tribunale di Roma torna a far discutere; questa volta sostenendo che la Cassa Integrazione con causale Covid non possa essere utilizzata dalle aziende che non abbiano una compressione d’affari e, anzi, performance superiori al mercato (Ord. Trib. Roma n. 13173/2021)
Il caso riguarda un lavoratore che ha contestato con ricorso d’urgenza la collocazione in cassa a zero ore poiché ritenuta una manovra ritorsiva nei suoi confronti e, comunque, per attuare politiche di riorganizzazione aziendale nell’impossibilità di procedere a licenziamento. Si è difesa la società rilevando come il provvedimento di collocamento in cassa integrazione fosse effettivamente conseguenza di una varata riorganizzazione aziendale, che ha previsto la soppressione della posizione lavorativa del ricorrente, non licenziabile per via del blocco dei licenziamenti. Secondo il Tribunale, però, la ragione spetta al lavoratore per due ordini di ragioni: nell’interpretazione letterale, la normativa che ha introdotto la cassa Covid durante il periodo emergenziale può essere concessa esclusivamente in situazione in cui vi sia un’oggettiva difficoltà aziendale nella regolare continuazione dell’attività produttiva (“sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica”); sulla base della ratio dell’istituto, inoltre, l’ammortizzatore – sovvenzionato dalla collettività a fini solidaristici – intenderebbe garantire il mantenimento dei posti di lavoro durante periodi di difficoltà aziendale e non vuole essere uno strumento di supporto alle aziende per fini di massimizzazione economica.
Il Tribunale astrae da ogni considerazione sui rapporti tra cassa integrazione e blocco dei licenziamenti, pur dedotti dalla società, sostenendo che una questione di legittimità costituzionale della norma analizzata rispetto all’art. 41 Cost. ed il relativo giudizio mal si concilierebbero con il procedimento cautelare che, per sua natura, è caratterizzato da una spiccata celerità.
La decisione è assai discutibile, perché si svincola dalla questione centrale (ossia il rapporto tra ammortizzatore e blocco dei licenziamenti) che, a ben vedere, sarebbe stata decisiva e ciò semplicemente fornendo un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, senza scomodare la Consulta. Perché le ragioni addotte dal Tribunale non tengono conto del fatto che lo strumento assistenziale ed il blocco dei licenziamenti discendono da medesime norme e costituiscono un unicum inscindibile, posto che l’ammortizzatore sociale rappresenta il contrappeso necessario alla limitazione imposta alla libertà di impresa ex art. 41 Cost. ed è l’alternativa ovvia e necessaria a tutela dei lavoratori.
Del resto, la legge vieta tutti i licenziamenti organizzativi e non solo quelli che sono correlati alla riduzione di attività quale conseguenza dell’epidemia, per cui a fronte di una limitazione così ampia al potere organizzativo dell’imprenditore, altrettanto ampia deve essere la possibilità di ricorrere alla Cassa Integrazione.
Dire, invece, come afferma il Tribunale che l’impresa è sì libera di riorganizzarsi, ma a sue spese se non sussiste un decremento del fatturato, significa imporre costi non più giustificabili in capo all’imprenditore e violare platealmente il principio di libertà organizzativa prevista dalla Costituzione. Inoltre la conseguenza ingiusta della decisione è quella di appiattire le dinamiche organizzative aziendali alla ricorrenza di perdite economiche (principio già superato pure in materia di licenziamento oggettivo) e, in secondo luogo, di paralizzare anche le imprese che richiedono investimenti e riorganizzazioni per continuare ad essere virtuose.
Non solo. La lettura che ne ha dato il Tribunale di Roma non appare compatibile anche con le nuove indicazioni delle parti sociali e del Governo che, a partire dal 1° luglio, hanno raccomandato l’uso della cassa Covid come alternativa al licenziamento. Se in caso di riorganizzazione non si può utilizzare la Cassa Integrazione, allora necessariamente si incentiva il ricorso al licenziamento organizzativo.
In conclusione, sarebbe stato comprensibile se il Tribunale avesse concluso nel senso che la riorganizzazione non era effettiva e non impattava sulla posizione del lavoratore. In questo caso certamente il ricorso alla Cassa Integrazione sarebbe stato abusivo, perché attivato senza riduzione di attività e senza alcuna situazione di esubero per il lavoratore. Ma questo non è scritto nell’Ordinanza.
Milano, 7 luglio 2021