La formazione professionale continua ci salverà
Di Filippo Menichino 


A cadenza trimestrale l’Unione delle camere di commercio con la collaborazione dell’Agenzia per le politiche attive, pubblica il Bollettino Excelsior che certifica l’andamento del mercato del lavoro. Molti dati sono noti da tempo e confermano il costante disallineamento tra domanda e offerta di lavoro che ogni anno tende ad aumentare. Un vero e proprio paradosso poiché il 26% degli oltre 4,5 milioni di contratti che il sistema produttivo era pronto a concludere nel 2018 non ha potuto essere stipulato sia perché i candidati non avevano il profilo richiesto, sia perché l’offerta non ha trovato interesse (Boll. Excelsior, 29/3/2019). Guardando alla lista delle professioni più difficili da reperire si vede che mancano le specializzazioni in scienze informatiche, fisiche e chimiche, oltre a ingegneri e operai specializzati; più il lavoro è di responsabilità più la ricerca è difficile. Nei prossimi anni, nella digitalizzazione e nella sostenibilità si concentreranno il 30% dei contratti, quasi tutti rientranti nell’ambito di industria 4.0. L’offerta di lavoro tenderà sempre più a concentrarsi nelle attività maggiormente specialistiche, ma anche nella fascia bassa dei lavori manuali, mentre i lavori impiegatizi delle fasce intermedie si ridurranno di molto. Infine, il Bollettino rimarca che è sempre più difficile reperire lavoratori disposti a lavorare nelle festività - non solo nelle località turistiche -, oppure per certe professioni come i parrucchieri, i baristi, i camerieri, commessi che sempre debbono lavorare al sabato ed alcune volte la domenica. Un vero e proprio allarme sorge, inoltre, dalla continua scopertura di posti di insegnanti che a seguito della richiesta di trasferimento interrompono i cicli scolastici, talché alcune regioni del nord non vogliono che il reclutamento avvenga su base centralistica, ma regionale... E con sorpresa il bollettino mette in evidenza come certe professioni operaie non sono sufficienti ad occupare tutti i posti offerti; migliaia e migliaia di posti per elettricisti, meccanici auto, idraulici e posatori di tubi rimangono desolatamente inoccupati. Che fare? Per prima cosa sarà necessario un colossale investimento sulla scuola e sulla cultura in generale, non solo per gli alunni, ma anche per gli insegnanti, molti dei quali sono inadeguati ai loro compiti, e per i piccoli imprenditori, che sono tanti in Italia, ma con pochi capitali, in genere poche conoscenze innovative, al fine di aiutarli a crescere (ovviamente vi sono anche piccole imprese molto innovative e competitive, ma sono una minoranza). L’apertura ai mercati e la liberalizzazione degli scambi costituisce certamente un pericolo per i piccoli, ma più che chiudere e bloccare le chiusure domenicali, contrastare l’apertura dei centri commerciali, vietare gli accordi economici tra Stati ed in generale la libertà di circolazione dei beni, sarà molto meglio far crescere per competere, magari con una politica industriale adeguata e un sistema fiscale agevolato.
Sarà difficile trovare una soluzione in tempi rapidi perché si tratta di colmare un vuoto culturale che dura da più di trent’anni. Bisognerà rivalutare da un punto di vista sociale il lavoro manuale e le attività imprenditoriali. Sarà necessario avvicinare la formazione scolastica al mondo del lavoro attraverso una vera e propria rivoluzione culturale e sociale Non a caso i diplomati presso gli istituti tecnici superiori sono ben pochi rispetto a quanto si pratica in Europa. Ventimila diplomati all’anno, contro gli 800.000 tedeschi, 500.000 francesi e inglesi. Trattasi di scuole sorte una decina d’anni fa sulla base di esperienze straniere per formare nel corso di un biennio o triennio tecnici superiori in aree strategiche per lo sviluppo economico e la competitività; sono scuole di alta tecnologia strettamente legate al sistema produttivo che prepara i quadri intermedi a collaborare nelle aziende 4.0.
Quasi il 90% dei diplomati degli ITS trovano lavoro nell’arco di un anno. Eppure le famiglie e gli adolescenti non sono ben informati che esistono queste possibilità e compiono scelte decisive per il loro futuro senza le informazioni necessarie e senza sapere che esistono percorsi formativi che possono consentire di approfittare effettivamente di quelle opportunità. Colpa grave per uno Stato che negli ultimi cinquant’anni si è preoccupato perlopiù di assistenza e di politiche passive del lavoro (Cigs con ben 20 mdi all’anno di spesa!! reddito di cittadinanza, articolo 18, collocamento e formazione perlopiù inefficiente), soldi spesi male, piuttosto che dare ai cittadini gli strumenti di conoscenza per competere in modo autonomo sul mercato del lavoro. Ma si sa che i soldi spesi per l’integrazione salariale si “vedono“ e ricompensano elettoralmente, mentre i soldi spesi in buona formazione danno risultati nel medio periodo e non sempre stimolano il politico di turno.
Dunque, centinaia di migliaia di posti che restano perennemente scoperti e giovani che cercano inutilmente un lavoro che esiste ma non si è capaci di reperire. È scandaloso dover constatare che la formazione fornita e pagata dallo Stato in molti casi serve di più ai formatori che ai lavoratori in un periodo nel quale tutti, ad ogni livello da chi inizia a chi già lavora, ha necessità di una formazione continua perché il lavoro muta continuamente. Non a caso il recente contratto dei metalmeccanici ha previsto la formazione come un vero e proprio diritto dei lavoratori, (così come la retribuzione) una protezione continua.
Anche se è presumibile che ci saranno opposizioni fortissime, il governo, se davvero sostiene di voler aiutare i lavoratori, dovrà ingerirsi nel merito della formazione. Molto di più di quanto ha fatto prima. Dovrà censire i formatori pagati con soldi pubblici e costituire una sorta di anagrafe dalla quale possa evincersi quanti utenti formati ed in quanto tempo hanno trovato il lavoro. Sarebbe un provvedimento praticamente a costo zero che servirebbe altresì come orientamento per le famiglie ed i lavoratori, oltreché ripulire il mercato delle lobby dei formatori la cui attività è spesso improvvisata e senza risultati. Ma l’esperienza insegna che sono proprio le riforme che non costano nulla ad avere difficoltà per essere attuate.
Nel frattempo, così come sostiene Ferruccio de Bortoli sull’Economia, bisognerà almeno dare una mano ai giovani che vivono una situazione oscillante tra la frustrazione di ricerche affannose e l’amara scoperta di non avere profili adeguati alle necessità di mercato. Tanto per cominciare si potrebbe affievolire il cattivo uso dei tirocini (370.000 nel 2017), soprattutto quelli extra curricolari (500 € al mese, ed anche meno), favorendo per contro l’apprendistato, istituto che in Germania è utilizzato il triplo che da noi.

 
Milano, 18 ottobre 2019