Perché il rito del lavoro ci può salvare contro i ritardi della Giustizia
Di Luca Menichino
La Giustizia italiana è troppo lenta e sovraccarica di un arretrato significativo. Al di là di molte dichiarazioni di principio contenute nelle norme, la lentezza dei processi rende i diritti una mera “astrazione”. Non solo per chi fa valere un diritto ma anche per chi si contrappone, il quale spesso paga di più per via della eccessiva durata dei processi.
È necessario intervenire ed è necessario farlo anche per ottenere i fondi del recovery fund.
Due sono i filoni su cui intervenire.
i) Intervenire sul lato organizzativo aumentando il numero dei magistrati e dei soggetti che li supportano, così come già pianificato nel PNRR;
ii) Rendere più spedito il processo e soprattutto consentire al Giudice di valutare immediatamente i pro e contro di una causa così da facilitare una transazione, riducendo il carico delle cause.
Oggi il rito civile impone ben sei scritti difensivi per parte oltre a prevedere diverse udienze, alcune delle quali del tutto formali e sostanzialmente inutili. Il risultato è che solo qualche anno e solo dopo diverse udienze, tutte le carte sono sul tavolo. Prima di allora si gioca a carte coperte e non ci sono i presupposti per fare una valutazione di rischio al fine di favorire una conciliazione. Il Giudice tende a leggere compiutamente tutte le carte solo alla fine del processo, quando deve scrivere la sentenza.
Il rito del lavoro non è così, perché si gioca a carte scoperte sin dal primo atto introduttivo e dalla prima memoria difensiva. Il Giudice, specializzato ed esperto, sin dalla prima udienza viene messo in condizione di comprendere le ragioni della contesa e di proporre una soluzione transattiva. Nei Tribunali più virtuosi, come Milano e Torino, almeno una buona parte delle cause (dal 40% al 50%) viene transatta, riducendo il carico di lavoro dei Giudici. In questo modo, il processo è spedito e, nei casi in cui non si concilia, si arriva a sentenza molto rapidamente, ben al di sotto della durata media europea.
Abbiamo quindi già sperimentato che questa formula funziona e funziona anche con cause molto complesse. Non è un caso che nella proposta di riforma si proponga di utilizzare il rito del lavoro per tutte le cause civili, sia pur con qualche lieve correttivo.
Nonostante ciò, anche da parte di esimi luminari del diritto ed esperti del processo (non giuslavoristi), c’è una forte riluttanza all’adozione di un processo del lavoro, a loro dire, troppo semplificato (come se i diritti del lavoro fossero più semplici degli altri diritti). Sostengono che non è sufficiente il cambio di rito, ma occorre modificare l’organizzazione della giustizia e che, se si semplifica troppo, l’acqua farà pur sempre il suo corso e ci saranno perdite dappertutto.
Ora è persino ovvio che se un Giudice oggi ha 800 cause a ruolo all’anno, è evidente che non riuscirà a smaltirle nell’anno anche se il processo si esaurisse in un’unica udienza. Ed infatti il Governo ha già chiarito che intende effettuare un intervento organizzativo per il potenziamento degli organici (assunzione di magistrati e ufficio del processo), che è una condizione senza la quale qualsiasi riforma del processo non servirebbe.
Ma non è questo il tema. Oltre a depistare su argomenti scontati, i detrattori della riforma non spiegano perché mai un processo “tutto e subito” non funziona. La verità è che molti avvocati sono affezionati allo status quo nella convinzione che una moltitudine di difese scritte garantisca meglio i diritti dei loro assistiti (!). E’ una falsa verità perché gli argomenti possono essere trattati in modo completo con un atto, una replica e una controreplica da farsi subito alla prima udienza a carte scoperte, oltre a qualche ulteriore correttivo. L’idea di poter affermare e replicare all’infinito non aumenta e non migliora le capacità difensive. E’ l’organizzazione del lavoro e la qualità dello studio dell’avvocato che fa la differenza. La disorganizzazione dello studio legale non è un buon motivo per allungare i tempi del processo, a discapito degli interessi della collettività. Al contrario – un processo diluito è inefficiente, dispersivo e disorganizzato, perché obbliga a studiare e ristudiare la causa tutte le volte che si scrive una difesa. E proprio perché il processo non è concentrato, il Giudice studia di volta in volta “pezzi” della causa e tende a leggere compiutamente le carte solo alla fine del processo, così impendendo a priori qualsiasi intervento risolutore. Anche in questa materia è più che giusto il motto: non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi.
Milano, 26 luglio 2021