Poche storie: il vaccino deve essere obbligatorio

Di Filippo Menichino 


Pietro Ichino, come sempre anche provocatoriamente, anticipa problemi di carattere generale nella speranza che il legislatore tenda ogni tanto l’orecchio.
È vero, sostiene Ichino, che un lavoratore non vaccinato potrebbe costituire un rischio per la salute di tutti gli altri suoi colleghi e costoro non sarebbero contenti di lavorare fianco a fianco con chi teoricamente potrebbe infettarli (almeno allo stato attuale delle conoscenze). Come rimediare in mancanza di una legge che preveda l’obbligo di vaccinazione? Secondo Ichino, in una breve intervista rilasciata al Corriere della Sera, un rimedio ci sarebbe, e sarebbe l’articolo 2087 c.c. che impone al datore l’obbligo “secondo l’esperienza e la tecnica” di tutelare le condizioni di lavoro. Quindi, ben potrebbe il datore di lavoro, utilizzando la propria esperienza e le conoscenze tecniche del momento, cercare di eliminare il pericolo alle condizioni di lavoro, licenziando, se del caso, il lavoratore non vaccinato.

Apriti cielo! Come sempre quando parla Ichino si è scatenata una parte dell’intellighenzia (l’illustre e amico prof. Scarpelli), accusandolo in buona sostanza di non conoscere le leggi. Si è detto che l’art. 32 Cost. stabilisce che nessuno può essere soggetto a trattamenti sanitari contro il suo volere, a meno che non sia la legge a prevedere; che un lavoratore potrebbe essere intollerante al vaccino e potrebbe, quindi, avere una valida giustificazione medica nel non farlo; che il datore di lavoro dovrebbe dare la prova della pericolosità del lavoratore non vaccinato nonostante tutte le misure di prevenzione attualmente in atto.
Tutto vero, tutte considerazioni giuste.

Ma, intanto, cari professori, da sempre antagonisti del professor Ichino, cosa facciamo? Escluderei innanzitutto che un datore di lavoro con un po’ di sale in zucca si assuma la responsabilità di licenziare qualcuno in quanto non vaccinato, volutamente tralasciando la considerazione che il datore non è in grado di sapere chi lo è e chi non lo è. Ma frattanto i lavoratori che prestano la loro attività con un collega che magari è “No Vax” non saranno contenti di questa situazione.

Che facciamo, cari professori? Lasciamo le cose così come sono, magari sogghignando dietro l’uscio per vedere come se la cava il povero datore di lavoro? Oppure, è il caso di sfruttare la vostra autorevolezza per coltivare la campagna al vaccino, come certamente ha inteso Ichino? O ancora, se non si vuole renderlo obbligatorio, invitare il legislatore ad emanare una legge che disciplini l’uso dei vaccini nell’ambito dei luoghi di lavoro, con le eccezioni possibili, i rimedi all’impasse e la giustizia del caso?
 


Milano, 30 dicembre 2020